“Perché ti sei portata un quaderno.
Lei si stiracchiò. Improvvisamente si sentiva stanca, come se avesse scritto pagine su pagine.
Così,
pensavo di scrivere di ciò che io e Ofer avremmo visto lungo il
cammino, di tenere una specie di diario di viaggio. Quando andavamo
all’estero tutti insieme scrivevamo sempre ciò che succedeva.
Era
lei a scrivere, la sera, in albergo, o nelle pause, o durante un
lungo trasferimento. Gli altri si rifiutavano di collaborare, …. la
prendevano affettuosamente in giro per quel suo impegno, superfluo e
infantile a loro parere, mentre lei insisteva: se non scriviamo,
dimenticheremo. Ma che c’è da ricordare? ribattevano loro, che quel
vecchio sul battello ha vomitato sul piede di papà? Che a Adam hanno
servito un anguilla al posto della cotoletta che aveva ordinato? Lei
taceva e pensava, vedrete che un giorno vorrete ricordarvi di come ci
siamo divertiti, di come abbiamo riso.
Si
sforzava di essere il più dettagliata possibile in quei diari di
viaggio. E ogni volta che non le andava di scrivere, che la mano le si
impigriva o gli occhi le si chiudevano per la stanchezza, si immaginava
gli anni in cui si sarebbe seduta accanto a Ilan, preferibilmente
nelle lunghe sere d’inverno, con una tazza di punch caldo, entrambi
avvolti in un plaid a quadretti, a leggersi a vicenda stralci di quei
diari completati da cartoline, menu, biglietti di ingresso a vari
siti, di spettacoli, treni, musei. Ilan, naturalmente, aveva
indovinato tutto, compreso il plaid a quadretti. Lei era sempre così
trasparente per lui. Promettimi solo di spararmi un attimo prima che
accada, le aveva detto. Ma glielo diceva riguardo a così tante cose.”