3.2.13

David Grossman - A un cerbiatto somiglia il mio amore













“Perché ti sei portata un quaderno.
Lei si stiracchiò. Improvvisamente si sentiva stanca, come se avesse scritto pagine su pagine.
Così, pensavo di scrivere di ciò che io e Ofer avremmo visto lungo il cammino, di tenere una specie di diario di viaggio. Quando andavamo all’estero tutti insieme scrivevamo sempre ciò che succedeva.
Era lei a scrivere, la sera, in albergo, o nelle pause, o durante un lungo trasferimento. Gli altri si rifiutavano di collaborare, …. la prendevano affettuosamente in giro per quel suo impegno, superfluo e infantile a loro parere, mentre lei insisteva: se non scriviamo, dimenticheremo. Ma che c’è da ricordare? ribattevano loro, che quel vecchio sul battello ha vomitato sul piede di papà? Che a Adam hanno servito un anguilla al posto della cotoletta che aveva ordinato? Lei taceva e pensava, vedrete che un giorno vorrete ricordarvi di come ci siamo divertiti, di come abbiamo riso.

Si sforzava di essere il più dettagliata possibile in quei diari di viaggio. E ogni volta che non le andava di scrivere, che la mano le si impigriva o gli occhi le si chiudevano per la stanchezza, si immaginava gli anni in cui si sarebbe seduta accanto a Ilan, preferibilmente nelle lunghe sere d’inverno, con una tazza di punch caldo, entrambi avvolti in un plaid a quadretti, a leggersi a vicenda stralci di quei diari completati da cartoline, menu, biglietti di ingresso a vari siti, di spettacoli, treni, musei. Ilan, naturalmente, aveva indovinato tutto, compreso il plaid a quadretti. Lei era sempre così trasparente per lui. Promettimi solo di spararmi un attimo prima che accada, le aveva detto. Ma glielo diceva riguardo a così tante cose.”