3.5.13

La fascinazione dello stagno





Probabilmente l’acqua era molto alta – di certo il fondo non si vedeva. Intorno ai bordi c’erano ciuffi di giunchi tanto spessi che le loro immagini riflesse creavano un’oscurità come l’oscurità di acque molto profonde. Ma nel mezzo c’era qualcosa di bianco. La grande fattoria ad un miglio di distanza era stata messa in vendita e qualche persona zelante, o forse era lo scherzo di qualche ragazzino, aveva conficcato, su un pezzo di tronco accanto allo stagno, uno dei cartelli che annunciavano la vendita, con cavalli da tiro, attrezzi agricoli e giovenche. Il centro dell’acqua rifletteva il cartello bianco e quando soffiava il vento il centro dello stagno sembrava sventolare e incresparsi come un telo steso ad asciugare. Si potevano seguire nell’acqua le linee dei grossi caratteri rossi con cui era stampato Romford Mill. Nel verde che si allargava in cerchi da una riva all’altra si vedeva un tocco di rosso.
Ma se uno restava seduto tra i giunchi ad osservare lo stagno – gli stagni possiedono uno strano fascino – le lettere rosse e nere e la carta bianca sembravano appoggiate sulla superficie dell’acqua, mentre al di sotto si svolgeva una profonda vita sommersa simile alle elucubrazioni, agli arzigogoli della mente.
In molti dovevano essere venuti qui, da soli, nei giorni, nei secoli, a lasciar cadere i propri pensieri nell’acqua, a porre all’acqua domande, coma accade a noi in questa sera estiva.
Forse era quella la ragione del suo fascino – che custodiva nelle sue acque ogni genere di fantasie, lamentele, confidenze non scritte o pronunciate a voce alta, bensì allo stato liquido, galleggianti l’una sull’altra, quasi disincarnate.
Un pesce ci avrebbe nuotato in mezzo, per essere poi tagliato in due dall’amo di una canna; oppure la luna le avrebbe annullate con la sua grande piastra bianca.
Il fascino dello stagno consisteva nel contenere pensieri lasciati da persone che se ne erano andate e privi dei corpi i loro pensieri vagavano liberamente, cordiali e comunicativi, nello stagno collettivo.
Di tutti questi liquidi pensieri alcuni, per lo spazio di un istante, sembravano combaciare, formando persone riconoscibili.
E nello stagno si vedeva formato un viso rosso baffuto che vi si chinava sopra e lo beveva.
Venni qui nel 1851 dopo l’afa dell’Esposizione Universale. Vidi la regina inaugurarla. E la voce aveva dentro una risatina liquida, di agio, come se l’uomo si fosse tolto gli stivaletti dalla fascia elastica e avesse deposto il cilindro sul bordo dello stagno. Dio, che caldo faceva! E adesso è tutto finito, tutto distrutto, naturalmente, parevano dire i pensieri, ondeggiando tra le canne. Invece io ero una ragazza, cominciò a dire un altro pensiero, scivolando al di sopra del primo silenziosamente e compostamente, come pesci che non si intralciano. Una ragazza innamorata; venivamo qui dalla fattoria (il cartello della sua vendita si rifletteva sul pelo dell’acqua) nell’estate del 1662. I soldati dalla strada non ci videro mai. Faceva molto caldo; ci sdraiavamo qui. Giaceva nascosta fra le canne con il suo amante, ridendo nello stagno e lasciandosi scivolare dentro pensieri di amore eterno, di baci ardenti e di disperazione.
E io fui molto felice qui, disse un altro pensiero, facendo capolino vivacemente sopra la disperazione della ragazza (si era annegata). Venivo qui a pescare; non siamo mai riusciti a prendere la carpa gigante, ma una volta l’abbiamo vista – il giorno in cui Nelson combatté a Trafalgar. Parola mia, la vedemmo sotto il salice! Che mostro era! Dicono che non venne mai catturata.
Ahinoi, sospirò una voce, scivolando sopra la voce del ragazzo. Una voce così triste doveva provenire proprio dal fondo dello stagno. Risaliva da sotto le altre come fa un cucchiaio che solleva tutto quel che c’è in una tazza d’acqua. Era la voce che tutti volevamo ascoltare. Tutte le altre voci scivolarono dolcemente da una parte dello stagno per ascoltare la voce che sembrava così triste – che di sicuro doveva conoscere la ragione di tutto questo. E tutte volevano sapere.
Allora ci si avvicina allo stagno e si scostano le canne per vedere più giù, attraverso le immagini riflesse, attraverso i volti, attraverso le voci, fino nel fondo. Ma là, sotto l’uomo che era stato all’Esposizione e la ragazza che si era annegata e il ragazzino che aveva visto il pesce e la voce che gridava ahinoi, c’era pur sempre qualcosa d’altro. C’è sempre un altro volto, un’altra voce. Giungeva un pensiero e ricopriva l’altro. Perché sebbene vi siano momenti in cui sembrerebbe che un cucchiaio stia per sollevarci tutti alla luce del giorno, i nostri pensieri e desideri e confessioni e disillusioni, chissà come il cucchiaio scivola sempre giù e noi rifluiamo di nuovo oltre il bordo dentro lo stagno. E ancora una volta tutta la parte centrale viene ricoperta dal cartello che annuncia la vendita della fattoria di Romford Mill. Per questo forse ci piace tanto restare seduti a guardare gli stagni.


Virginia Woolf