“Qual è la massima aspirazione della sua vita?” chiese una studentessa.
“Desidero divenire immortale e poi morire” rispose lo scrittore.
Una
frase, una profezia, racchiusa in un idilliaco minuto di uno dei
capolavori della storia cinematografica: “Fino all’ultimo respiro” di
Godard.
Jean-Luc
Godard la volle come protagonista per il suo Fino all’ultimo respiro,
magnifico esercizio di stile dall’esile trama, che giocava a rompere
gli schemi. Jean era perfetta proprio perché, da attrice insesperta
qual era, guardava dritta in macchina, fornendo infinite inquadrature
enigmatiche all’autore che puntava a demolire gli schemi del linguaggio
cinematografico e a dichiarare l’autorialità assoluta del realizateur.
Da
quel momento Jean divenne la musa incontrastata della Nouvelle Vague e
un’icona di stile. Il suo taglio garçon era il più imitato in tutta la
Francia, il look “preppy” à la Seberg fece epoca tra le donne
di Parigi. Eppure, quello della giovane americana Patricia Franchini,
sebbene fu il ruolo che la rese una diva angelicata, fu anche la sua
trappola. Ancora oggi Jean viene identitifata con ‘la protagonista del
film di Godard’, quella che si passa il dito sulle labbra in un lungo
primo piano alla fine del film.
Dopo l’attrice inanellò un film
sbagliato dopo l’altro, interpretando spesso ninfomani, poligame e
donne di facili costumi. Il suo ruolo preferito rimane quello in Lilith
- La dea dell'amore, di Robert Rossen, al fianco di Warren Beatty, che
le valse la nomination come Miglior Attrice in un Film Drammatico ai
Golden Globe del 1965. Quando lo girò, era sposata già da due anni con
il suo secondo marito, il romanziere russo Romain Gary, da cui aveva
avuto un figlio, Alexandre Diego Gary, nel 1963, ed era già entrata a
far parte dei sostenitori delle Pantere Nere.
Jean
lo seppe solo molto tempo dopo, ma la CIA e l’FBI controllavano
costantemente la sua casa e i suoi movimenti. Altre attrici sue amiche,
come Jane Fonda e Vanessa Redgrave, sostenevano cause importanti, ma
la parità di diritti tra bianchi e neri non era molto tollerata
nell’America di quegli anni. Quando Jean rimase incinta di nuovo, nel
1970, i giornali iniziarono a scrivere che avrebbe messo al mondo un
figlio mulatto, concepito con Raymond Hewt, allora leader delle Pantere
Nere. L’attacco fu talmente pesante che i nervi di Jean iniziarono a
cedere. La bambina, alla quale fu dato il nome di Nina, nacque
prematuramente a causa dei calmanti e degli antidepressivi dei quali
Jean aveva iniziato a fare largo uso. Per rispondere allo scacallaggio
della stampa, che le provocò anche problemi con i suoi genitori,
l’attrice mostrò ai fotografi il corpo morto, e bianco, della sua
piccola creatura. Per la prima volta tentò il suicidio ingerendo una
dose massiccia di barbiturici. Ripeté l’atto una volta l’anno, per otto
anni, il giorno del compleanno della sua bambina.
Nel
frattempo il matrimonio con Gary, che non perdeva occasione, in
privato e nei suoi racconti, di sbeffeggiare l’attivismo di Jean,
naufragò. L’attrice ammise, anni dopo, che sebbene Romain avesse
riconosciuto Nina come sua figlia, lei ebbe una storia passionale con
uno studente contestatore di nome Carlos Navarra, durante un periodo di
forte crisi con suo marito che portò a una separazione momentanea. I
due matrimoni seguenti furono con due registi che poterono realizzare i
loro film d’esordio solo grazie allo sfruttamento della notorietà
della loro bella moglie. La critica stroncava sistematicamente queste
pellicole e intanto il suo quarto matrimonio, con il playboy algerino
Ahmed Hasni, non le veniva ufficialmente riconosciuto, in quanto
mancava di ogni valore legale.
Nel 1979 Jean Seaberg morì siucida,
sul sedile posteriore di un’automobile che fu ritrovata in un
parcheggio di Parigi solo undici giorni dopo la sua morte. Il suo corpo
riposa nel cimitero di Montparnasse; al suo funerale intervennero
artisti, nobili e personaggi importanti della cultura e dell’arte, come
Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir.
Alcune teorie cospirative
sostengono che il suicidio non sia stato la causa della morte di Jean
Seaberg, la quale, avendo tentato innumerevoli volte di togliersi la
vita, avrebbe fornito alla CIA l’alibi perfetto per insabbiare il suo
omicidio. Nessuno è mai riuscito a provarle, né a far aprire
un’indagine degna di questo nome. [stralcio da fonte:
http://www.alphabetcity.it/index.php?com=articolo&id=1924 ]