30.4.13

nella tua ferita più dolorosa






"...Non allontanarti, non buttare via la penna, Yair. Gioca ancora a questo gioco assurdo, almeno per un pò, anche se i muscoli dorsali della tua anima si atrofizzeranno, fino a farti un male insopportabile. Lo so, anch'io ho sentito da te cose che quasi non riuscivo a sopportare. Ma ora, mentre sei solo in questa camera, forse più solo di quanto avessi mai osato essere, voglio per una volta che tu scriva, solo per i tuoi occhi, perchè ti fai questo, e come mai sei disposto a far entrare degli estranei nella tua ferita più dolorosa..."



Che tu sia per me il coltello

Caravaggio





Medusa - 1597





Verità Rivelata




 
..."Se hai il coraggio di lasciare ciò che conosci ed è confortevole, 
e parti per un viaggio alla ricerca della verità, 
e se sei pronto ad affrontare e a perdonare 
alcune realtà molto difficili di te stesso, 
la verità verrà rivelata"...
 

Mangia prega ama - Elizabeth Gilbert




Aut-Aut








  
Io voglio il sole, io voglio il sole ardente
Che l’ebbrezza mi dia del suo splendore,
O pur la buia notte ed il fragore
Forte de la tempesta alta e furente.
La grigia nebbia il core la detesta:
Datemi il cielo azzurro o la tempesta.

Voglio la libertà! la sconfinata
Intera libertà la voglio mia!
O pur la tetra e stretta prigionia
Di quattro travi e la cassa inchiodata.
Oh, se non m’è concesso l’infinito,
Ch’io, l’ali infrante, giaccia seppellito

E voglio l’amor tuo; l’intero ardente,
Illimitato amore, o l’odio intenso.
Ma sia l’odio o l’amor, lo voglio immenso!
Io non sopporto un guardo indifferente.
L’amor che tutto soffre e tutto dona
O l’odio che non piega e non perdona.

O tutto o nulla io voglio: il riso o il pianto,
Il sole d’oro o l’uragano nero,
la stretta bara o l’universo intero,
E dallo sguardo tuo martirio o incanto!
Tutti i tuoi baci dammi e tutto il core,
O la croce sublime del dolore!

Annie Vivanti

Ombre e Proiezioni




img © a.merzbach




Secondo Platone, noi viviamo incatenati dentro una caverna buia. Essendo incatenati, di questa caverna possiamo vedere soltanto la parete di fondo. Soltanto le ombre che vi si muovono. Potrebbero essere le ombre di qualcosa che si muove fuori dalla caverna. Potrebbero essere le ombre di altri individui incatenati accando a noi.
Forse l'unica cosa che ciasuno di noi vede è la sua stessa ombra.
Carl Jung, lo definiva il gioco delle ombre. Diceva che noi non vediamo mai gli altri. Vediamo solo quegli aspetti di noi stessi che si riflettono su di loro. Ombre. Proiezioni. Le nostre assciazioni.
Come gli antichi pittori, che si chiudevano in un luogo oscuro e ricalcavano l'immagine di ciò che stava fuori da una minuscola finestra, alla luce del sole.
La camera obscura.
Non l'immagine esatta, tutto rovesciato o capolvolto. Distorto allo specchio o dalla lente attraverso cui ci perviene.
Dalla nostra limitata percezione personale. Dal nostro piccolo corpus di esperienze. Dalla nostra istruzione piena di buchi.
Lo spettatore che controlla la visione. L'artista che in realtà è morto. Noi vediamo ciò che vogliamo vedere. Nel modo in cui lo vogliamo vedere. Vediamo solo noi stessi. L'artista non può far altro che darci qualcosa da vedere.


Diary


Pensa. Ne sei capace.




Soprattutto non devi fuggire nel sonno - dimenticare i dettagli - ignorare i problemi - costruire barriere fra te e il mondo e le allegre ragazze brillanti - ti prego, pensa, svegliati.
Credi in qualche forza benefica al di fuori del tuo io limitato.
Signore, signore: dove sei? Ti voglio, ho bisogno di te: di credere in te e nell'amore
e nell'umanità ( ... )





Sylvia Plath - Diari

29.4.13

Artur Brand






Acquisto all’ingrosso i miei sogni

dai grassi commercianti di pensieri
e li rivendo al mercato dell’usato
in mezzo a trafficanti e rigattieri.
Io sono un mercante di parole
alcune sono immaginate
e tante altre sono storie vere
arrivo con la mia bella valigia da piazzista
e sulla bancarella della vita,
le espongo in bella vista.
Le vendo per quattro soldi
ed un pezzo di pane
per quattro soldi e un sorriso
a volte poi per chi non li ha
mi accontento solo del suo sorriso
che si accende sul viso.
Sono abituato a raccogliere rose
ma mi fanno ancora male le spine
e non mi passano mai, queste pene
sono rose bianche le parole
ma fanno più male le spine
e sono spine le lingue
e fanno più male delle spine
e non mi passano mai queste pene.
Io la notte non dormo, soltanto riposo
ed al mattino sono più stanco di prima
ma devo alzare la valigia
tirare dritto e andare avanti
non pensare a tutti quanti
continuare a fare il mio mestiere
sopravvivere e tirare avanti.
Ma prima o poi finirò le parole
e allora che farò,di che vivrò
come potrò continuare a pensare
e a mercanteggiare parole.
Ma io che stupido sono
il mare non si asciugherà mai
e allora in me troverai
chi non ti lascerà mai
ti starò accanto per sempre
anche se vendo parole
quelle che tengo da parte
sono vere, sono sincere,
e sono scritte per te.




Karen Boye










Perché dovrebbe altrimenti esitare la primavera?
Perché tutta la nostra bruciante nostalgia
dovrebbe rimanere avvinta nel gelido pallore amaro?
Involucro fu il bocciolo, tutto l’inverno.
Cosa di nuovo ora consuma e spinge?
Certo che fa male, quando i boccioli si rompono,
male a ciò che cresce
male a ciò che racchiude.

Certo che è difficile quando le gocce cadono.
Tremano d’inquietudine pesanti, stanno sospese
si aggrappano al piccolo ramo si gonfiano, scivolano
il peso le trascina e provano ad aggrapparsi.
Difficile essere incerti, timorosi e divisi,
difficile sentire il profondo che trae, che chiama
e lì restare ancora e tremare soltanto
difficile voler stare
e volere cadere.

Allora, quando più niente aiuta
si rompono esultando i boccioli dell’albero,
allora, quando il timore non più trattiene,
cadono scintillando le gocce dal piccolo ramo,
dimenticano la vecchia paura del nuovo
dimenticano l’apprensione del viaggio -
conoscono in un attimo la più grande serenità
riposano in quella fiducia
che crea il mondo.

 Certo che fa male

Eugenio Montale







Mia vita, a te non chiedo lineamenti
fissi, volti plausibili o possessi.
Nel tuo giro inquieto ormai lo stesso
sapore han miele e assenzio.
Il cuore che ogni moto tiene a vile
raro è squassato da trasalimenti.
Così suona talvolta nel silenzio
della campagna un colpo di fucile.




Mia Vita



27.4.13

Sibilla Aleramo








Il tuo sorriso
vibrazione che anima la vita
e la sconfitta.
C'è il tuo genio nel tuo sorriso.
Sapienza implacabile,
dominio e sdegno,
a fiore di un occulto vortice
ritmo di fantasia iridescente...
Il tuo sorriso...
Sottile ombra canora
su la chiarezza silenziosa
del fermo volto.
O gagliardo
amo il tuo sorriso,
che si esprime oltre il tuo stesso volere,
balenante segno
della vita che in visione trascendi,
amo il tuo sorriso
malizia di fanciulla
e magia d'eroe,
il tuo sorriso dove,
a fiore d'un occulto vortice,
smaglia e canta,
soffusa di danzante ombra,
la sua forza...
Vibri, e altro non chiedi.
Attingi e varchi la vita
col tuo sorriso
fantasticamente ti dissolvi
il dolore noto e la gioia ignota,
in un brivido che t'allaccia
al cuore del mondo.
C'è il tuo genio nel tuo sorriso.



Dammi meglio la mano, prometti di ritornare in sogno.

JFK e Marilyn Monroe

 
Dammi meglio la mano,
prometti di ritornare in sogno.


Anna Achmatova

Cercami nelle parole che non ho trovato.





Cercami nelle parole che non ho trovato

Cercami nelle parole che non ho trovato

Cercami nelle parole che non ho trovato

Cercami nelle parole che non ho trovato




Blaga Dimitrova - Testamento

Emily Dickinson


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Se ricordare fosse dimenticare, allora non ricordo. E se dimenticare fosse ricordare, quanto ho dimenticato!




Tutte le poesie

26.4.13

Pascal-Adolphe-Jean Dagnan-Bouveret








  Pascal-Adolphe-Jean Dagnan-Bouveret (1852-1929)Marguerite au SabbatOil on canvas

 Marguerite au Sabbat - 1912

Sara Kane





"E voglio giocare a nascondino e darti i miei vestiti e dirti che mi piacciono le tue scarpe e sedermi sugli scalini mentre fai il bagno e massaggiarti il collo e baciarti i piedi e tenerti la mano e andare a cena fuori e non farci caso se mangi dal mio piatto e incontrarti da Rudy e parlare della giornata e battere a macchina le tue lettere e portare le tue scatole e ridere della tua paranoia e darti nastri che non ascolti e guardare film bellissimi e guardare film orribili e lamentarmi della radio e fotografarti mentre dormi e svegliarmi per portarti caffè brioches e ciambella e andare da Florent e bere caffè a mezzanotte e farmi rubare tutte le sigarette e non trovare mai un fiammifero e dirti quali programmi ho visto in tv la notte prima e portarti a far vedere l’occhio e non ridere delle tue barzellette e desiderarti di mattina ma lasciarti dormire ancora un po’ e baciarti la schiena e carezzarti la pelle e dirti quanto amo i tuoi capelli i tuoi occhi le tue labbra il tuocollo i tuoi seni il tuo culo e sedermi a fumare sulle scale finché il tuo vicino non torna a casa e sedermi a fumare sulle scale finché tu non torni a casa e preoccuparmi se fai tardi e meravigliarmi se torni presto e portarti girasoli e andare alla tua festa e ballare fino a diventare nero e essere mortificato quando sbaglio e felice quando mi perdoni e guardare le tue foto e desiderare di averti sempre conosciuta e sentire la tua voce nell’orecchio e sentire la tua pelle sulla mia pelle e spaventarmi quando sei arrabbiata e hai un occhio che è diventato rosso e la’ltro blu e i capelli tutti a sinistra e la faccia orientale e dirti che sei splendida e abbracciarti se sei angosciata e stringerti se stai male e aver voglia di te se sento il tuo odore e darti fastidio quando ti tocco e lamentarmi quando sono con te e lamentarmi quando non sono con te e sbavare dietro ai tuoi seni e coprirti la notte e avere freddo quando prendi tutta la coperta e caldo quando non lo fai e sciogliermi quando sorridi e dissolvermi quando ridi e non capire perché credi che ti rifiuti visto che non ti rifiuto e domandarmi come hai fatto a pensare che ti avessi rifiutato e chiedermi chi sei ma accettarti chiunque tu sia e raccontarti dell’angelo dell’albero il bambino della foresta incantata che attraversò volando gli oceani per amor tuo e scrivere poesie per te e chiedermi perché non mi credi e provare un sentimento così profondo da non trovare le parole per esprimerlo e aver voglia di comperarti un gattino di cui diventerei subito geloso perché riceverebbe più attenzioni di me e tenerti a letto quando devi andare via e piangere come un bambino quando te ne vai e schiacciare gli scarafaggi e comprarti regali che non vuoi e riportarmeli via e chiederti di sposarmi e dopo che mi hai detto ancora una volta di no continuare a chiedertelo perché anche se credi che non lo voglia davvero io lo voglio veramente sin dalla prima volta che te l’ho chiesto e andare in giro per la città pensando che è vuota senza di te e volere quello che vuoi tu e pensare che mi sto perdendo ma sapere che con te sono al sicuro e raccontarti il peggio di me e cercare di darti il meglio perché è questo che meriti e rispondere alle tue domande anche quando potrei non farlo e cercare di essere onesto perché so che preferisci così e sapere che è finita ma restare ancora dieci minuti prima che tu mi cacci per sempre dalla tua vita e dimenticare chi sono e cercare di esserti vicino perché è bello imparare a conoscerti e ne vale di sicuro la pena e parlarti in un pessimo tedesco e in un ebraico ancora peggiore e far l’amore con te alle tre di mattina e non so come non so come non so come comunicarti qualcosa dell’assoluto eterno indomabile incondizionato inarrestabile irrazionale razionalissimo costante infinito amore che ho per te....."

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Sarah Kane nasce a Brentwood il 3 febbraio 1971 e muore suidica a Londra il 20 febbraio del 1999 è stata una scrittrice e drammaturga britannica. Autrice di numerosi testi teatrali, tra cui alcuni molto controversi per i temi trattati (stupro, cannibalismo, malattie), combatté a lungo con la depressione, che fu la causa della sua morte per suicidio appunto nel 1999. Lottò contro la depressione per molti anni, ma continuò a lavorare, e fu per un certo periodo drammaturga fissa della compagnia teatrale itinerante Paines Plough. La sua prima opera, Blasted (Dannati), che traccia parallelismi fra la Gran Bretagna e la Bosnia e contiene scene di stupri, cannibalismo e brutalità, creò il più grande scandalo teatrale a Londra dai tempi della scena della pietrificazione del bambino nello spettacolo Saved di Edward Bond; la Kane adorava il lavoro di Bond e proprio lui difese pubblicamente l'opera e il talento della Kane. Altri autori che influenzarono Sarah Kane furono Samuel Beckett, Howard Brenton e George Buchner. Di quest'ultimo la Kane diresse Woyzech. La Kane e Caryl Churchill si ammiravano e si influenzarono a vicenda. Mentre il giornalista del Daily Mail Jack Tinker aveva descritto la sua prima opera come «disgustoso banchetto di sporcizia», Sarah Kane è ora considerata come un'importante protagonista nel teatro britannico, nonché una delle figure chiave del cosiddetto in-yer-face theatre. L'opinione della critica cambiò tuttavia solo dopo la sua quarta opera, Crave (Febbre) pubblicata in questo post. L'opera fu pubblicata originariamente con lo pseudonimo di Marie Kelvedon, per fare in modo che i critici la valutassero come un'opera a sé stante e non come l'ultimo lavoro di una autrice i cui personaggi avevano succhiato gli occhi uno all'altro e cotto alla griglia i loro genitali. Crave si concentra su quattro personaggi, che hanno come nome solo una lettera, legati fra loro da relazioni la cui profondità può essere compresa solo dopo una accurata interpretazione dell'opera. Inoltre, è un'opera altamente intertestuale. Attraverso questa nuova immagine di Sarah Kane, i suoi primi testi sono stati reinterpretati, rivelando personaggi complessi con un dolore sia psicologico che fisico. La sua ultima opera, 4.48 Psychosis, fu completata poco prima della morte dell'autrice e fu rappresentata una anno dopo il suicidio. Ne 2001 il Royal Court Theatre, che aveva messo in scena tutte le prime degli spettacoli della Kane eccetto uno, ha dedicato una stagione intera alla sua opera.


Febbre

Percy Bysshe Shelley










E' quella forza potente che ci attrae verso tutto quello che concepiamo o temiamo o speriamo fuori di noi stessi, quando scopriamo nei nostri pensieri l'abisso di un insaziabile vuoto e cerchiamo di risvegliare in tutte le cose che esistono, una consonanza con quello che proviamo dentro di noi. Se ragioniamo, vorremmo essere intesi; se immaginiamo, vorremmo che gli eterei figli del nostro cervello rinascessero nel cervello di un altro; se sentiamo, vorremmo che i nervi altrui vibrassero con i nostri, che i raggi dei loro occhi in un solo istante si accendessero e si unissero e si fondessero coi nostri, che due labbra tremanti e ardenti del più puro sangue non si posassero su labbra glaciali e immobili. Questo è l'Amore. Questo è il legame e il consenso che unisce un essere umano non solo a un altro essere umano, ma a tutte le cose viventi. Nasciamo, e c'è qualcosa in noi che dall'istante che prendiamo a vivere ed esistere, aspira a quanto gli è simile. Noi percepiamo oscuramente nella nostra natura intellettuale quasi una riproduzione in miniatura di tutto il nostro essere, ma spoglio di tutto ciò che disapproviamo o disprezziamo, il prototipo ideale di ogni cosa eccellente e bella che riusciamo a concepire per la natura umana. Non è soltanto il ritratto del nostro essere esterno, ma un insieme delle più tenui particelle di cui la nostra natura si compone: uno specchio la cui superficie riflette solo le forme pure e brillanti: un'anima dentro la nostra anima che traccia un cerchio attorno al suo Paradiso, che la sofferenza, il dolore e il male non osano oltrepassare. A quest'anima noi riferiamo ansiosamente tutte le nostre sensazioni, col desiderio ardente che vi possano assomigliare o corrispondere. La scoperta del suo antitipo: l'incontro con un'intelligenza capace di stimare con chiarezza le deduzioni della nostra, con un'immaginazione che dovrebbe penetrare e impadronirsi delle sottili e delicate intimità che è stata nostra gioia coltivare e dispiegare in segreto, con un corpo i cui nervi, come le corde di due lire che accompagnano un'unica deliziosa voce, vibrassero insieme ai nostri - e tutto questo in proporzione a ciò che l'ideale tipo interiore chiede: ecco il fine invisibile e irraggiungibile cui l'Amore aspira; e per raggiungere il quale, esso incita le facoltà dell'uomo a fermare la più labile ombra del bene, la cui privazione non dà riposo nè tregua al cuore che ne è dominato. Perciò nella solitudine, o in quello stato di abbandono in cui siamo circondati da esseri umani che tuttavia non ci comprendono, noi proviamo amore per i fiori, per l'erba, per le acque e il cielo. Anche nel muoversi delle foglie a primavera, nell'aria azzurra, si scopre allora una segreta corrispondenza con il nostro cuore. C'è un'eloquenza nel vento senza voce e un dolce canto nei ruscelli che scorrono e nel fruscio dei giunchi sulle loro sponde che, grazie alla loro segreta armonia con qualcosa nella nostra anima, risvegliano gli spiriti a una danza estatica, e fanno sgorgare lacrime di misteriosa tenerezza, come l'entusiasmo per la voce di una donna amata che canta per te solo. 



stralcio da "Sull'Amore" 




Philip Leslie Hale


Immagine





The crismon rambler - 1908


25.4.13

Jean Seberg







“Qual è la massima aspirazione della sua vita?” chiese una studentessa.
“Desidero divenire immortale e poi morire” rispose lo scrittore.
Una frase, una profezia, racchiusa in un idilliaco minuto di uno dei capolavori della storia cinematografica: “Fino all’ultimo respiro” di Godard.




Jean-Luc Godard la volle come protagonista per il suo Fino all’ultimo respiro, magnifico esercizio di stile dall’esile trama, che giocava a rompere gli schemi. Jean era perfetta proprio perché, da attrice insesperta qual era, guardava dritta in macchina, fornendo infinite inquadrature enigmatiche all’autore che puntava a demolire gli schemi del linguaggio cinematografico e a dichiarare l’autorialità assoluta del realizateur.
Da quel momento Jean divenne la musa incontrastata della Nouvelle Vague e un’icona di stile. Il suo taglio garçon era il più imitato in tutta la Francia, il look “preppy” à la Seberg fece epoca tra le donne di Parigi. Eppure, quello della giovane americana Patricia Franchini, sebbene fu il ruolo che la rese una diva angelicata, fu anche la sua trappola. Ancora oggi Jean viene identitifata con ‘la protagonista del film di Godard’, quella che si passa il dito sulle labbra in un lungo primo piano alla fine del film.
Dopo l’attrice inanellò un film sbagliato dopo l’altro, interpretando spesso ninfomani, poligame e donne di facili costumi. Il suo ruolo preferito rimane quello in Lilith - La dea dell'amore, di Robert Rossen, al fianco di Warren Beatty, che le valse la nomination come Miglior Attrice in un Film Drammatico ai Golden Globe del 1965. Quando lo girò, era sposata già da due anni con il suo secondo marito, il romanziere russo Romain Gary, da cui aveva avuto un figlio, Alexandre Diego Gary, nel 1963, ed era già entrata a far parte dei sostenitori delle Pantere Nere.

Jean lo seppe solo molto tempo dopo, ma la CIA e l’FBI controllavano costantemente la sua casa e i suoi movimenti. Altre attrici sue amiche, come Jane Fonda e Vanessa Redgrave, sostenevano cause importanti, ma la parità di diritti tra bianchi e neri non era molto tollerata nell’America di quegli anni. Quando Jean rimase incinta di nuovo, nel 1970, i giornali iniziarono a scrivere che avrebbe messo al mondo un figlio mulatto, concepito con Raymond Hewt, allora leader delle Pantere Nere. L’attacco fu talmente pesante che i nervi di Jean iniziarono a cedere. La bambina, alla quale fu dato il nome di Nina, nacque prematuramente a causa dei calmanti e degli antidepressivi dei quali Jean aveva iniziato a fare largo uso. Per rispondere allo scacallaggio della stampa, che le provocò anche problemi con i suoi genitori, l’attrice mostrò ai fotografi il corpo morto, e bianco, della sua piccola creatura. Per la prima volta tentò il suicidio ingerendo una dose massiccia di barbiturici. Ripeté l’atto una volta l’anno, per otto anni, il giorno del compleanno della sua bambina.


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Nel frattempo il matrimonio con Gary, che non perdeva occasione, in privato e nei suoi racconti, di sbeffeggiare l’attivismo di Jean, naufragò. L’attrice ammise, anni dopo, che sebbene Romain avesse riconosciuto Nina come sua figlia, lei ebbe una storia passionale con uno studente contestatore di nome Carlos Navarra, durante un periodo di forte crisi con suo marito che portò a una separazione momentanea. I due matrimoni seguenti furono con due registi che poterono realizzare i loro film d’esordio solo grazie allo sfruttamento della notorietà della loro bella moglie. La critica stroncava sistematicamente queste pellicole e intanto il suo quarto matrimonio, con il playboy algerino Ahmed Hasni, non le veniva ufficialmente riconosciuto, in quanto mancava di ogni valore legale.
Nel 1979 Jean Seaberg morì siucida, sul sedile posteriore di un’automobile che fu ritrovata in un parcheggio di Parigi solo undici giorni dopo la sua morte. Il suo corpo riposa nel cimitero di Montparnasse; al suo funerale intervennero artisti, nobili e personaggi importanti della cultura e dell’arte, come Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir.
Alcune teorie cospirative sostengono che il suicidio non sia stato la causa della morte di Jean Seaberg, la quale, avendo tentato innumerevoli volte di togliersi la vita, avrebbe fornito alla CIA l’alibi perfetto per insabbiare il suo omicidio. Nessuno è mai riuscito a provarle, né a far aprire un’indagine degna di questo nome. [stralcio da fonte:

 
http://www.alphabetcity.it/index.php?com=articolo&id=1924 ]

Bella Achmadulina

Sono soltanto volume in cui abita qualcosa
Per cui non bastano i nomi della terra.
Sono una costruzione di sudore e ossa-
Suo possedimento, non mia carne.

Qualcosa: un significato sconosciuto
Insediatosi in una cuccia altrui
Per sfrattare i padroni, saltare fuori,
non voltarsi a guardare quando morirò.

In me, di me più audace, la parola
Non pronunciata oscilla,
mentre nell’emorragia di luce del cielo
io tremo di foglie, di rami.

Esiste un modo per chiamare il senza nome?
Non lo dico. Non si può chiedere al dizionario
Come si chiama una parola
Finchè non gliela diciamo noi stessi.

Mio imperituro e misterioso oppressore,
stretto nella morsa del già noto…
E io mi espando, divento universo-
Io e l’universo di concerto: una sola cosa.

Qualcosa. Non c’è parola. Ma dalla sua
Fonte tremendamente mite fiotta amore.
E già si vede il suo futuro profilo
Battersi per i fratelli, le sorelle.

Bacia sulle labbra l’inanime, e il respiro
Della risposta è grande, manifesto.
Unica, la parola annienta caos e delirio,
e parla ai mortali dell’eterno.

Sono soltanto volume - 1982










Josè Saramago










No, non c’è la morte.
Neppure questa pietra è morta.
E non è morto il frutto che è caduto:
tutto in vita ritorna al tocco delle dita,
tutto respira il ritmo del mio sangue,
del soffio che lo sfiora.
Così, quand’anche la mia mano seccherà,
nel ricordo vivrà di un’altra mano,
e tacita la bocca serberà
il gusto delle bocche che ha baciato.
 


Le poesie

"I veri amici ti pugnalano dritto in fronte" ...


Oscar Wilde


"I veri amici ti pugnalano dritto in fronte"  ...


Else Lasker-Schüler





Il cielo si porta nel cinto di nuvole
La luna ricurva.

Sotto la forma di falce
Io voglio riposarti in mano.

Sempre devo fare come vuole la tempesta,
Sono un mare senza riva.

Ma poiché tu cerchi le mie conchiglie,
Mi si illumina il cuore.

Stregato
Giace sul mio fondo.

Forse il mio cuore è il mondo,
Batte - E cerca ancora te - Come ti devo invocare


Solo te 

James Tissot







Reading the news - 1874

24.4.13

Emily Dickinson



Io canto per riempire l’attesa:
Annodarmi la cuffia,
Richiudere la porta di casa
E non altro ho da fare,
Finchè risuoni vicino il suo passo,
E insieme camminiamo verso il giorno,
L’uno all’altro narrando di come cantammo
Per scacciare la tenebra.








O f e l i a

                                                                        O f e l i a 

è il personaggio che da sempre mi affascina. La traccia indelebile del passaggio dalla vita alla morte, attraverso l'abbandono nell'oblio dell'acqua. La dissolvenza della propria vita, entrando nella morte, cullando la fine...Oltre al fatto di rappresentare (almeno per me) il dramma più bello di Shakespeare, la conoscenza di tale personaggio, è stata riportata spesso ai miei occhi per mezzo di raffigurazioni pittoriche. La rappresentazione di Ofelia, datata sino ad oggi. Millais, Waterhouse, Dalì, Redon...e tanti, tanti altri. Mille stili, mille sfaccettature interpretative. E poi, evoca in me sempre nuovi versi. Nuovi pensieri. Tristemente e drammaticamente.



 
John Everett Millais - Ophelia - 1850





Alla corte del regno di Danimarca, viveva una bella fanciulla di nome Ofelia, figlia di Polonio, primo consigliere del re. Di lei si era innamorato il principe Amleto, figlio del re di Danimarca, morto da poco, e della regina Gertrude. Egli l'aveva corteggiata con molte lettere e le aveva inviato in dono un anello come pegno d'amore. Ofelia, aveva prestato fede alle sue dichiarazioni e, nonostante gli avvertimenti del padre, che non credeva alla sincerità di Amleto, ricambiava l'amore del principe. Ma all'improvviso il giovane Amleto cambiò; il suo comportamento divenne insensato, pieno di stranezze, a volte euforico e a volte malinconico.
I suoi discorsi, un tempo pieni di spirito e di ingegno, divennero oscuri e sconnessi. Tutta la corte di Danimarca preoccupata per quel brusco mutamento cominciò a parlare di follia. Nessuno però conosceva la verità. Amleto aveva scoperto che la morte di suo padre, non era stata causata dal morso di un serpente, come tutti credevano; era stata invece opera del fratello Claudio, che aveva in mente di sposare Gertrude e di succedergli al trono. A rivelargli la verità era stato proprio lo spettro di suo padre che gli aveva imposto di vendicarlo, facendogli giurare di uccidere Claudio. Per portare a termine i suoi piani di vendetta, senza però suscitare i sospetti, Amleto aveva deciso di simulare la follia e di comportarsi in modo bizzarro. Ofelia, però era all'oscuro delle reali intenzioni di Amleto, ed era quindi sconvolta dai cambiamenti del principe che aveva cominciato a trattarla con scortesia e durezza. La fanciulla perdonava queste offese, attribuendole non all'incostanza di carattere di Amleto, ma alla sua pazzia. Lui in realtà continuava ad amare Ofelia, ma aveva una vendetta da compiere e non poteva farsi distrarre dai riti galanti del corteggiamento. Nonostante tutto però, continuava ad alimentare le speranze alla fanciulla manifestandole i suoi sentimenti....

Frank Bensor





Il cappello nero - 1904

Wislawa Szymborska











"...Deve essere a scelta. Cambiare, purchè niente cambi. E' facile, impossibile, difficile, ne vale la pena. Ha gli occhi, se occorre, ora azzurri , ora grigi, neri, allegri, senza motivo pieni di lacrime..."




estratto da "ritratto di donna" da 'Elogio dei sogni'

Fernando Pessoa



Che noi si scriva, si parli o solo si sia visti
rimaniamo evanescenti. E tutto il nostro essere
non può in parola o in volto giammai trasmutarsi.
L’anima nostra è da noi immensamente lontana:
per quanta forza si imprima in quei nostri pensieri,
mostrando l’anime nostre con far da vetrinisti,
indicibili i nostri cuori pur sempre rimangono.

Per quanto di noi si mostri continuiamo ignoti.
L’abisso tra le anime non può esser collegato
da un miraggio della vista o da un volo del pensiero.
Nel profondo di noi stessi restiamo ancora celati
quando al nostro pensiero dell’essere nostro parliamo.
Siamo i sogni di noi stessi, barlumi di anime,
e l’un per l’altro resta il sogno dell’altrui sogno.


Fernando Pessoa

22.4.13

Cesare Pavese





L'arte di sviluppare i motivetti per risolverci a compiere le grandi azioni che ci sono necessarie. L'arte di non farci mai avvilire dalle reazioni altrui, ricordando che il valore di un sentimento è giudizio nostro poiché saremo noi a sentircelo, non chi interviene. L'arte di mentire a noi stessi sapendo di mentire. L'arte di guardare in faccia la gente, compresi noi stessi, come fossero personaggi di una nostra novella. L'arte di ricordare sempre che, non contando noi nulla e non contando nulla nessuno degli altri, noi contiamo più di ciascuno, semplicemente perché siamo noi. L'arte di considerare la donna come la pagnotta: problema d'astuzia. L'arte di toccare fulmineamente il fondo del dolore, per risalire con un colpo di tallone. L'arte di sostituire noi a ciascuno, e sapere quindi che ciascuno si interessa soltanto di sé. L'arte di attribuire qualunque nostro gesto a un altro, per chiarirci all'istante se è sensato.




L'arte di essere solo - da Il mestiere di vivere







Anileda Xeka







Tu eri la luce che entrava tra le fessure dei miei ieri e non ti afferravo. Mille petali aveva il tuo sorriso. Aveva mille arcobaleni il volto delle cose ancora senza nome. tu c’eri da quando c’ero anch’io senza ch’io sapevo, senza che tu sapevi. Ti ho baciato con le labbra del mio pensiero.