17.4.17

Sylvia Plath - I tulipani










I tulipani sono troppo eccitabili, qui è inverno.
Guarda come è tutto bianco, quieto, coperto di neve.
Sto imparando la pace, distesa quietamente, sola
Come la luce posa su queste pareti bianche, questo letto,
queste mani.
Io non sono nessuno, io non ho nulla a che fare con le esplosioni.
Io ho consegnato il mio nome e i miei vestiti alle infermiere,
la mia storia all’anestesista e il mio corpo ai chirurghi. 
Mi hanno sistemato la testa tra il cuscino e il risvolto del lenzuolo.
Come un occhio tra due palpebre bianche che non vogliono
chiudersi.
Stupida pupilla, deve assorbire tutto.
Le infermiere passano e ripassano, non disturbano,
passano come gabbiani diretti nell’interno, in cuffia bianca,
facendo cose con le loro mani, ciascuna identica all’altra,
sicchè è impossibile dire quante sono.
Il mio corpo è un ciottolo per loro, lo accudiscono come
l’acqua
accudisce i ciottoli su cui deve scorrere, lisciandoli piano.
Mi portano il torpore nei loro aghi lucenti, mi portano
Il sonno.
Ora che ho perso me stessa sono stanca di bagagli,
la mia ventiquattrore di vernice come un nero portapillole,
mio marito e mia figlia che sorridono dalla foto di famiglia;
i loro sorrisi mi si agganciano alla pelle, piccoli ami sorridenti.
Ho lasciato scivolare via le cose, un cargo di trent’anni
Ostinatamente aggrappata al mio nome e al mio indirizzo.
Con l’ovatta mi hanno ripulito dei miei legami affettivi.
Impaurita e nuda sulla barella col cuscinio di plastrica verde,
ho visto il mio servizio da te, i cassettoni della biancheria,
i miei libri
affondare e sparire e l’acqua mi ha sommerso.
Sono una suora adesso, non sono mai stata così pura.
Io non volevo fiori, volevo solamente
Giacere con le palme arrovesciate ed essere vuota, vuota.
Come si è liberi, non ti immagini quanto.
E’ una pace così grande che ti stordisce,
e non chiedo nulla, una targhetta col nome, poche cose.
E' a questo che si accostano i morti alla fine; li immagino
Chiudervi sopra la bocca come un’ostia della Comunione.
Sono troppo rossi  anzitutto questi tulipani, mi fanno male.
Li sentivo respirare già attraverso la carta, un respiro
Sommesso, attraverso le fasce bianche, come un neonato
spaventoso.
Il loro rosso parla alla mia ferita. Vi corrisponde.
Sono subdoli: sembrano galleggiare e invece sono un peso,
mi agitano con le loro ligue improvvise e il loro colore,
dodici rossi piombi intorno al collo.
Nessuno mi osservava prima, ora sono osservata.
I tulipani si volgono verso di me, e dietro di me la finestra
Dove una volta al giorno la luce si allarfa lenta e lenta
si assottiglia,
e io mi vedo, piatta, ridicola, un’ombra di carta ritagliata
tra l’occhio del sole e gli occhi dei tulipani,
e non ho volto, ho voluto cancellarmi.
I vividi tulipani mangiano il mio ossigeno.
Prima del loro arrivo l’aria era abbastanza calma,
andava e veniva, un respiro dopo l’altro, senza dar fastidio.
Poi  i tulipani l’hanno riempita come un frastuono.
Adesso l’aria s’impiglia e vortica intorno a loro così come un fiume
s’impiglia e vortica intorno ad un a un motore affondato rosso di ruggine.
Concentrano la mia attenzione che era felice
di vagare e riposare senza farsi coinvolgere.
Anche le pareti sembrano riscaldarsi.
I tulipani dovrebbero essere in gabbia come animali pericolosi,
si aprono come la bocca di un grande felino Africano,
e io mi accorgo del mio cuore: apre e chiude
il suo calice di petali rossi per l’amore che mi porta.
L’acqua che sento sulla lingua è calda e salata, come il mare
e viene da un paese lontano quanto la salute.

Sylvia Plath
18 marzo 1961 [Tulipani - da Lady Lazarus e altre poesie - Sylvia Plath]



Sylvia Plath, scrisse questa poesia, dopo essere stata ricoverata per un'operazione, in ospedale. La compose con molta fretta, come era solito fare, forse sapeva inconsciamente di avere poco tempo ancora.