17.7.13

Virginia Woolf



Ho strappato via tutto maggio e giugno e venti giorni di luglio. Li ho strappati e appallottolati in modo che non esistano più, se non come un peso nel mio fianco. Rimangono solo otto giorni. Tra otto giorni scenderò dal treno e mi fermerò sul marciapiede alle sei e venticinque. Allora la mia libertà si spiegherà ampia, e tutte queste restrizioni che corrugano e aggrinzano - ore e ordine e disciplina, ed essere ora qua ora là al momento stabilito - voleranno in pezzi. Il giorno balzerà nel cielo, quando aprirò lo sportello della carrozza e vedrò mio padre col cappello vecchio e le ghette. Tremerò tutta. Scoppierò in lacrime. Poi, il giorno dopo, mi alzerò all’alba. Scapperò via dalla porta di cucina. Andrò a passeggiare nella brughiera. I grandi cavalli dei cavalieri fantasma tuoneranno dietro di me e si fermeranno a un tratto. Vedrò la rondine sfiorare l’erba. Mi getterò sull’argine di un fiume e guarderò i pesci sguisciare tra le canne. Gli aghi di pino mi si stamperanno nel palmo delle mani. Là mi aprirò e porterò alla luce tutto quello che ho fatto qui; qualcosa di duro. Perchè è cresciuta in me, attraverso le estati e gli inverni, sulle scale, nelle stanze da letto. Non voglio, come Jinny, essere ammirata. Non voglio che la gente, quando entro io, alzi gli occhi con ammirazione. Voglio donare, voglio che mi si doni, e voglio solitudine in cui svelare i miei possessi.



 Le Onde